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Rivoluzione della carriera: il ruolo della Generazione Z
Il 2020 ci ha obbligati ad adattarci a un new normal. A vivere il mondo tra quattro mura e due dimensioni. Per alcuni lo smart working è stato un sogno che si realizza, per altri un incubo da cui scappare appena gli uffici hanno riaperto. Ma come è stato per chi ha vissuto la prima esperienza lavorativa da remoto?
Il 2020 sarà sicuramente ricordato come l’anno dei cambiamenti. Il COVID-19 ha avuto un impatto enorme sugli aspetti più disparati della vita di ciascuno di noi, ma soprattutto della nostra quotidianità.
Eravamo abituati ad alzarci ogni mattina e avere uno spazio per lavorare e uno per vivere, in cui tornare la sera e godersi il piacere di essere finalmente a casa. Ma da un giorno all’altro ci siamo ritrovati a vivere il mondo tra quattro mura e due dimensioni.
Per alcuni lo smart working è stato un sogno che si realizza, per altri un incubo da cui scappare appena gli uffici hanno riaperto. Ma come è stato per chi ha vissuto la prima esperienza lavorativa da remoto?
I nati dal 1995 in poi, la cosiddetta Generazione Z, si sono affacciati al mondo del lavoro trovando davanti a sé uno scenario in piena rivoluzione.
Da un sondaggio di Tallo, talent network provider, è emerso che su 1700 user, il 35% di loro sta riconsiderando i propri progetti di carriera a causa della pandemia. In questo scenario in piena evoluzione, l’apprendimento e lo sviluppo sono tra le preoccupazioni primarie della Gen Z. La maggiorparte di loro ritiene importante che un’azienda investa nella riqualificazione e nel miglioramento delle competenze dei dipendenti. Allo stesso tempo, le nuove generazione ritengono che nell’economia attuale le soft skills siano ancora più importanti delle hard skills.
Durante l’emergenza, le soft skills sono diventate ancora più importanti per i dipendenti che si sono trovati a dover navigare tra le incertezze del lavoro da remoto e della collaborazione tra team virtuali.
Coloro che si sono affacciati al mondo del lavoro durante la pandemia, hanno dovuto cercare di imparare il più possibile tra chat, video call e cali di rete.
Ma come anticipato, per alcuni lo smart working ha rappresentato una soluzione ottimale, permettendo loro di coltivare i propri hobby e le proprie passioni, grazie a una modalità di lavoro più flessibile.
Infatti, secondo Millennial Survey di Deloitte Global, il 64% della Gen Z vorrebbe che il lavoro da remoto diventasse il “new normal”.
Dopo mesi di sfide, le aziende hanno dovuto abbandonare e reinventare anni di teorie e lezioni apprese sull’employee experience.
Quest’ultima può essere definita come il prodotto dell’interazione tra la persona e l’organizzazione durante la propria carriera. A migliorare il tempo trascorso sul luogo di lavoro e a delineare una piacevole employee experience contribuisce anche l’ambiente circostante.
In uno scenario in cui le caratteristiche dell’ufficio, l’area break, la qualità dell’aria o il tipo di illuminazione, vengono meno, ad influenzare in maniera sostanziale il benessere, la creatività e la produttività dei lavoratori, sono soprattutto la cultura aziendale così come la comprensione, il rispetto e l’empatia all’interno del team di lavoro.
“what gets me excited to log on every day are the people I work with. At UKG, our purpose is people, and that is a statement that could not ring any truer; I have met some of the most passionate, creative and intelligent people working here.”
Sempre secondo Millennial Survey di Deloitte Global, inoltre, la pandemia ha contribuito a diffondere tra le nuove generazioni una maggiore sensibilità rispetto ai bisogni degli altri e motivazione ad esercitare un impatto positivo sulla comunità.
Il COVID-19 ha sicuramente obbligato ciascuno di noi ad adattarsi a un new normal. A diventare più flessibili, a non dare tutto per scontato, a reinventarci e non smettere di imparare. E possiamo affermare che in questo le nuove generazioni ci sono state da esempio, adattandosi ad ogni situazione e cercando di tirarne fuori il meglio.